Sulla strada che conduce a Formignana, appena fuori
dall'abitato di Sabbioncello San Vittore, s'incontra un palazzo chiamato
"La Mensa" che viene quasi sfiorato dal Po di Volano.
La solida torre, i merli del muro di cinta, le insegne di vescovi e
cardinali sono i simboli, rimasti intatti, ad evocare passati splendori.
Malgrado lo stato di abbandono e le impietose ferite del tempo, il complesso
non ha smarrito completamente l'armonia della sua eleganza architettonica.
"La Mensa" è lì, solitaria ed austera e, certamente, conserva storie
e segreti.
Nel silenzio della solitudine, se si sa ascoltare, i segreti si svelano
ed allora affiorano le voci assorbite dai muri antichi nel corso dei
secoli.
Sono le voci delle cose perdute di un'antica corte rurale attiva e vivace
dove riecheggiano i colpi sull'incudine, lo stridore delle seghe, il
battere dei martelli a produrre quanto necessario a garantire una vita
autonoma ed indipendente agli operosi abitanti del luogo.
Sono le voci delle lavandaie intente alla greve fatica del bucato, delle
massaie che richiamano al pasto il pollame, spargendo manciate di granturco,
delle giovani donne che, di ritorno dai campi, cantano su carri traboccanti
di fieno.
E poi l'abbaiare dei cani, il canto dei galli, il chiocciare delle galline,
le risate di Marzola, l'uomo di fiducia del fattore, arguto e ciarliero
con le sue burle e le sue sentenze, e le grida festose dei bambini a
frullargli sempre attorno.
E, ancora, la voce del signor Luigi, il fattore, una voce decisa, severa,
mai arrogante, ad impartire ordini e a chiedere riscontri.
Molto più indietro nel tempo, sono le voci dal tono basso e continuo
che si dispiegano nel canto gregoriano e il salmodiare di vescovi e
prelati dai nomi altisonanti, in preghiera per momenti di mistico raccoglimento.
Ora è silenzio e solitudine.
Ma nel silenzio e nella solitudine, se si sa ascoltare, "La Mensa" racconta.
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